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N. da Rio Guida di Padova 1842

AGRICOLTURA

Vecchia e triviale querela si è che l’agricoltura venga da noi trascurata, e lontana sia da quello stato di progressivo miglioramento che si scorge in altre province, non solo della Lombardia, ma pur anche a noi con terminanti, come per esempio quella di Vicenza; e quindi a piena bocca si tacciano d’ignavia, parlando in generale, i nostri possidenti quasi non curanti il proprio interesse. Io non vorrò purgarli interamente da questa pecca; pure credo che non sia del tutto giusta l’accusa, e ciò per due motivi: il primo, perché l’agricoltura si è realmente da varii anni di molto migliorata tra noi e si trova in istato d’attuale progresso; il secondo, perché se il progresso non è sì rapido ed esteso, come taluni, forse più ricchi di ciance che di fondi, lo vorrebbero, egli procede dai molti e non lievi ostacoli che si attraversano, sui quali non è qui opportuno il discutere.

 

Viti

Ed in quanto all’attuale miglioramento della nostra agricoltura, basta osservare come da quarant’anni circa si attese con sempre maggiore studio alla coltivazion della vite, ond’è che il prodotto del vino si è più che raddoppiato. Parlando delle viti che si coltivano sopra le ¾ parti almeno della superficie del suolo della provincia e che ne costituiscono una delle principali ricchezze, si hanno le seguenti varietà principali:
- MARZEMINA: è la più stimata, ma non quella che più estesamente si coltivi, sopra tutto nel piano: quella poi di monte, così la bianca come la nera, si vende anche per frutto e, come qui suol dirsi, è uva bilancia. Siccome poi distinguonsi le uve in mangierecce, non mangierecce ma da vino, e in quelle che servono ad ambedue gli usi, così la marzemina è di quest’ultime.
- UVA D’ORO: così detta dall’aureo color de’ suoi grappoli. Si coltiva ne’ monti; è uva mangereccia, ma se ne fa anche vino bianco squisito, e per poco d’attenzione che si usi nel farlo, riesce vino da bottiglia.
- CORBINA.
- CORBINELLA.
- FRIULARA: si ha da Bagnoli e da Tribano nel distretto di Conselve: se n’è però molto estesa la coltivazione anche in altri distretti, dando essa un vino forte, molto nero e che supera nella durata tutti i vini del padovano.
- CAVRARA.
- NEGRARA.
- ROSSETTA: dà vino d’ottima qualità e si coltiva particolarmente nei dintorni di Bovolenta.
- GATTA.
- LUGLIATICA: è di due qualità, cioè bianca moscata e non moscata: più mangiereccia che da vino.
- PATARESCA dal picciotto rosso e
- PATARESCA dal picciotto verde: danno molto mosto e vino assai grato, ma non molto forte né molto nero.
- PIGNOLA: è poco coltivata, perché quantunque renda saporito il vino, pure non gli dà colore, e il colore in questi paesi è una qualità necessaria perché il vino riesca commerciabile.
- TINTORIA: fu per qualche tempo molto in voga pel color nero ch’essa dona al vino, ma è scipita e gli comunica anzi che no cattivo sapore. Per la qual cosa è quasi del tutto trascurata, specialmente dopo che le uve corbine, corbinelle e friulare, coltivate con grande amore arricchirono le nostre cantine di vino generoso, di buon gusto ed a bastanza colorito.
Nel circondario degli euganei si tengono le viti basse ed a palo secco; non è che nelle campagne adiacenti al piede di Monselice dove esse si lasciano ascendere sui pioppi a grande altezza e non si potano che nel terzo anno. Nella parte alta ed asciutta della provincia le viti si tengono accoppiate al noce e in bei festoni distesi dall’una all’altra pianta; ma nei terreni alquanto umidi e bassi, al noce viene sostituito il salcio e talvolta il pioppo.
Quantunque presso che tutti coloro che parlano di viti assegnino a quelle per marito l’olmo, e la nostra pratica d’accoppiarle al noce ed al salcio venga quasi da tutti condannata come contraria ai precetti geoponici generalmente ricevuti, essa non si è però senza qualche ragione resa comune tra noi. Ché in fatti quanto al noce, quest’albero fornisce in copia ottima legna da fuoco e somministra pali per sostenere le viti meglio che non farebbero gli olmi. Che se gli si dà colpa di comunicare cattivo odore di vino e di nuocere coll’ombra che spande, a nostra discolpa diciamo che del primo difetto non s’ode comunemente farsi lagno dai nostri mercanti di vino; e quanto al secondo aggiungiamo che quelle grandi e robuste foglie difendono in parte i grappoli dal guasto della gragnuola quando non sia più che forte, come a me stesso è avvenuto più volte di sperimentare nelle mie proprie campagne. Finalmente quando spianta quest’albero, l’agricoltore trae buon profitto e dalle radici ad uso di combustibile e dai pedali per legname da lavoro. Ometto il lucro che si può avere dal frutto ricavandone olio buono almeno per le stalle, perché è picciolo oggetto.
In quanto poi all’uso del salcio ben sanno i fisiobotanici per teoria e gli agricoltori per pratica, come valga questa pianta ad assorbire l’umidità e quanto si confaccia ai terreni bassi, quali sono in parte quelli del conselvano, non che quelli situati lungo il Garzone e la Fossa Paltana. Oltre ciò il salcio somministra ottime pertiche che o s’impiegano per fabbriche o vengono ridotte in fasci per legna da fuoco. Si fa poi grandissimo uso della corteccia dei rami giovani a nutrimento degli agnelli, delle pecore ed anche dei vitelli che si allevano, essendo questi ultimi un ramo di commercio attivo, oltre i buoi da lavoro, v’ha costume di educare animali così detti da guazzo.
Sicché ben raffrontati i danni e i vantaggi che recano queste due piante, non sarà poi da censurarsi tanto acremente l’uso che noi facciamo delle medesime nella nostra agricoltura.

 

Gelsi

In quanto alla coltivazione de’ gelsi, questa ha incominciato ad estendersi dopo quella delle viti ed al presente è in grandissima attività. Alcuni de’ maggiori nostri possidenti ne fecero estesissime piantagioni con ottimo successo, anche in que’ luoghi che per la loro situazione umida e bassa, come per esempio Correzzola, non sembrano i più favorevoli per questi alberi; e molti proprietarii consacrano personalmente alla coltivazione dei gelsi ed all’allevamento de’ bachi da seta le cure più assidue. In generale rari sono quegli agricoltori che non abbiano o poco o molto arricchito i loro campi di questa utilissima pianta. Siccome però il gelso ama piuttosto un suolo siliceo-calcario che troppo argilloso, così sembra che a preferenza se ne dovesse promuovere la coltivazione, più che negli altri distretti, in quello di Piazzola, dove se anche i gelsi fornissero minore quantità di foglia, questa però sarebbe più consistente, e di migliore qualità riuscirebbe la seta.
[Dalle statistiche si riconosce che il distretto di Camposampiero e quello di Montagnana (nella parte che confina col vicentino) tengono i luoghi più abbondanti di gelsi].

 

Ulivi

Siccome i monti non occupano che una picciola parte della provincia padovana, e non ogni plaga de’ medesimi è atta alla coltivazione dell’ulivo, così questa preziosa pianta non forma un oggetto essenziale della nostra agricoltura. Non mancano per altro varii oliveti rivolto bene coltivati ed in istato d’aumento, come per esempio quello de’ monaci di Praglia, alcuni nei dintorni del Cataio, di Galzignano, di Monselice, di Arquà, di Este e di qualche altra plaga meridionale de’ monti Euganei, dove rendono ai loro proprietarii assai ragguardevole profitto. Io fui assicurato che nel solo comune d’Arquà il prodotto degli olivi nell’anno scorso [1841 ndr] fu di A. L. 100,000.

 

Altri varii prodotti

In generale il primo e il più importante prodotto della provincia è il frumento; poscia il grano turco compresovi il cinquantino il quale. ne’ campi ubertosi o anche di mediocre fertilità, ci dà un secondo raccolto assai sufficiente, sopra tutto quando la stagione permetta che si semini subito dopo il taglio dei frumento e quando non sia colto da siccità. Gli altri cereali poi, cioè a dire la segala. l’orzo, il panico, l’erba medica che da noi si chiama erba spagna (medicago sativa di Linneo) si seminano più per foraggio che per averne grano da vendere. L’avena per altro si coltiva anche come oggetto commerciabile in non pochi luoghi, così pure la canape, specialmente nel territorio d’Este e ancora più in quello di Montagnana, costituisce uno dei prodotti più essenziali, come già si è avuto occasione di osservare altrove incidentemente, parlando di quei distretti. I lupini (lupinus albus di Linneo) e in qualche luogo la bisotta (pisum arvense di Linneo) si seminano per sovescio; il lino, i fagiuoli, le fave, il ravizzone (brassica napus varietas silvestris del Wildenow), le rape (brassica del Wildenow), le patate (solanum tuberosum dello stesso), il sorgo, il miglio, sono coltivazioni parziali più o meno estese, e più o meno trascurate secondo gli usi o i bisogni di ciascun coltivatore, sia possidente, sia fittaiolo; così per esempio le rape sono moltissimo coltivate ne’ dintorni di Terranegra dove se ne fa grande spaccio per la vicinanza di quella villa alla città.
La rotazione agraria è di tre o di quattro anni; se di tre, essa consiste nella seminazione del frumento per due anni di seguito, del trifoglio che si semina ordinariamente dopo la metà di febbraio sul frumento del secondo anno, e dei grano turco che si semina nell’anno terzo concimando prima la terra. Se la rotazione è di quattr’anni, nel secondo dei due consecutivi a frumento si semina il trifoglio che si coltiva nel terzo, e al termine dei medesimo si sovescia preparando il campo a ricevere il grano turco. Nei distretti di Piazzola, di Este e di Montagnana si fa pure con buon successo la coltivazione del riso che riesce di buona qualità e molto saporito, benché un po’ meno candido di quello di Legnago.
V’hanno nella provincia prati naturali asciutti, ma troppo pochi rispetto al bisogno e al numero de’ campi arativi, né vi suppliscono a bastanza i pochi campi che alcuni agricoltori mettono a prato artificiale d’erba medica e dì trifoglio. Ché in fatti i campi arativi rapporto ai prati stanno come 170 a 20, de’ quali pochissimi irrigatorii e la maggior parte d’principale prodotto, essendovi compresi i sortumosi e liscosi. Questi irrigatorii si trovano specialmente nei distretti di Piazzola e di Battaglia, come abbiamo altrove notato.

 

Pastorizia

Un oggetto di grandissimo profitto era un tempo per la nostra provincia padovana la pastorizia propriamente detta. Sommamente accreditate erano le nostre lane, e molte delle nostre agiate famigliee, che già appartennero al ceto mercantile devono le loro ricchezze al commercio delle lane e alle manifatture de’ panni che si spedivano nel levante. Ora però questo ramo d’utilità è molto decaduto. Il rinvenire le cause di questo decadimento e il discutere su questo oggetto porterebbe mio credere a ricerche estranee allo scopo cui è specialmente consacrata quest’opera e sulle quali perciò crediamo di non dover più oltre immorare. Osserveremo soltanto che la moltiplicazione delle viti portò necessariamente lo scemamento delle pecore.

 

Boschi

Ben pochi sono i boschi della provincia, e per la loro conservazione converrebbe implorare la maggior tutela possibile contro il mal inteso interesse che si cerca nel dissodamento che dopo un frutto passeggero, lascia nuda la roccia sul monte e la terra portata giù dalle piogge alza continuamente il letto de’ fiumi e cagiona la difficoltà degli scoli, le fiumane, le rotte degli argini e tutti que’ gravissimi danni che cagionano spese enormi all’Erario e incalcolabili danni alla provincia.
I boschi regii d’alto fusto nella provincia di Padova sono quattro: quello

Tornature
- della Bastia
- di Cervarese
- di Tremignone
- di Mestrino
- Boschi cedui parimenti regii, la maggior parte nel comune di Rovolone, di roveri e castagne
in varie parti che sommano a

106,3250
70,4920
2,9120
0,4840



125,6570
______________

Totale ...............305,8700

(pari a campi padovani 794½)


Oltre questi boschi regii, altri ve ne sono spettanti a’ particolari che si trovano sparsi qua e là sulle plaghe settentrionali de’ monti euganei, ma anche questi vanno sempre più diminuendo di numero e d’estensione.

 

Strumenti rurali

Non si ravvisa differenza alcuna negli strumenti rurali. L’aratro in più luoghi de’ colli è semplicissimo, ma nel piano è fornito di due ruote; di rado al vomero si premette il coltro, cioè soltanto quando si tratta di spezzare un prato. Alcuni benemeriti agronomi fecero prove di varie sorta d’aratri forestieri, ma questi nuovi non soddisfecero a segno da far abbandonare l’uso degli antichi.

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