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1846, di Guglielmo STEFANI IL VENDA Soprasta il Venda colle larghe sue spalle la catena dei colli. Di facile pendio verso tramontana si distende in una lunga e amena valletta, mentre discende ripido e dirupato dalla parte di mezzogiorno. Alla metà del suo fianco settentrionale sgorga fresca e copiosa vena di aqua che, allargatasi alquanto in un breve pianerotto, forma una povera gora battezzata col superbo nome di lago. Fertile in ogni sua parte dove non lo può romper la marra, lo vestono fitti macchioni di castagni e di quercie che lo rendono dilettoso alla vista. Intorno gli fanno corona il Rua, il Baiamonte e il Vendévolo; e posto quasi nel centro della vasta catena, i colli miììori gli si serrano intorno, come le onde di mar burrascoso. Dalla sua cima lo sguardo spazia su tutta la maravigliosa vallata che il Po corre e chiudono gli Appennini e le Alpi. Là presso sullo sporto d’una rupe, artificialmente dilatato e a cavaliere del precipitoso burrone, sorgono ancora le rovine del convento, vero nido di aquile. Stanno oggi le screpolate muraglie della chiesa, parte del campanile e le fondamenta del chiostro; tristi rovine perché non opera lenta del tempo, ma violenta della mano dell’uomo. L’edera incomincia pietosamente a coprirle, e farà presto sparire le traccie delle mani vandaliche, ma il silenzio che vi regna non sarà forse più rotto che dall’ululo malinconioso del gufo. Primo abitatore di questo monte fu Adamo da Torreglia, monaco di santa Giustina in Padova, che cominciò a condurvi aspri giorni di penitenza l’anno 1159. Morto nella caverna, in cui visse fra stenti e vigilie, Dago Gerardo e Villano da Maserà, monaci dello stesso ordine, vi edificarono qualche tempo dopo una chiesetta dedicata al culto di s. Michele; altri ampliarono il luogo ed eressero il convento di san Giovanni Battista; finché nel 1330 Francesco da Carrara, signore di Padova, donò tempio, monastero ed altre possessioni ai padri Olivetani che aprivano ospitale dimora a chi visitava quella cima, intorno a cui correva una strada ruotabile. Fu soppresso il convento nel 1767, ed era allora così allo stremo di monaci che, per quanto asseriscono, non vi si trovava che il padre Abate e un converso. Questo pacifico re della solitudine, travolto dall’uragano, dovette discendere, abbandonando i maestosi chiostri, la strada ruotabile e gli ozii beati. In quella cima non monta oggi che qualche raro viandante, spesso di notte, per giugnervi in sul levare del sole e godere dell’incantevole scena. Il colligiano, che lo guida, gli narra che il Venda è il monte più alto del mondo; che sovr’esso andò a fermarsi l’arca noetica, e gli parla di un grosso anello di ferro esistente ancora sulla sua cima, cui l’arca venne attaccata. Il povero colligiano, per il quale gli Euganei sono un mondo, vede che il Venda è il più alto, e impartisce all’umile vetta un onore in vero poco meritato. Sulla costa orientale di questo monte era piantato un rozzo macigno che segnava il termine fra’ dominii padovani e atestini, fissato colà a conservare la pace e por fine a’ dissidii da Lucio Metello proconsolo della Gallia Cisalpina. La lapide illustrata dal chiar. Furlanetto si conserva nel museo d’Este. Il Salomonio accenna una Historia del monte Venda scritta nel 1427 da Pietro Marcello, vescovo di Padova; ma noi la crediamo perduta nelle macerie dei tempi. Guglielmo STEFANI
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