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1846, di Guglielmo STEFANI TORREGLIA Chiunque in una giornata nevosa sul principiare di quest’anno, colto alla sprovvista dall’incalzante bufera sull’euganee colline, si fosse riparato nella chiesa parrocchiale di Torreglia avrebbe udita la parola del Signore narrata a quei colligiani dal più celebre oratore che vanti l’Italia oggidì, da Giuseppe Barbieri, il quale molta parte dell’anno passa solitario su questo colle amenissimo, stanco dei cittadineschi romori. A discorsi di morale evangelica va egli alternando lezioni di agronomia; esempio ai parrochi e preti di campagna i quali pensano limitato il loro ministero alle sole cose di chiesa, e non sanno quanto valga l’educazione fisica e morale a rendere il popolo buono, operoso, utile a se stesso e alla società, di cui è parte non ultima. Torreglia fu pure contea de’ Maltraversi, poi dell’Abazia di Praglia. Alberto Bibi, tesoriere di Ezzelino, vi fabricò nel 1236 una munitissima torre. Quivi, narra il Salomonio, sopra la cima d’un piccolo colle, detto il Castelletto, da Elisabetta Aliprandi donato ai padri di santa Giustina, fu nel 1585 fabricata da Paolo Orio, abate di quel monastero, una chiesa dedicata alla Vergine, e consecrata da Massimino vescovo di Chioggia. Chi ne volesse sapere di più legga le Veglie Tauriliane del sullodato oratore, che la più parte ragionano di Torreglia e delle circostanti delizie, scritte con tanta vaghezza di stile da soddisfare le brame dei lettori più schizzinosi, sieno partigiani della vecchia o della giovane scuola. Guglielmo STEFANI
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