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  Volo Viaggio nella Storia  

1846, di Guglielmo STEFANI

MONTECCHIA

Fra i colli che più si presentano vaghi e dilettosi alla vista di chi viene da Padova è quel di Montecchia. Un piccolo stagno ed un bosco d’alberi annosi a’ piedi; di prospetto su d’un rialzo di terra, a ponente del colle più elevato ed orientale, una torre quadra, massiccia, avanzo dell’età mezzana; un pendio facile, erboso; e dall’alto il dominio degli Euganei e dei Berici, Montegalda e Costoza accorrono a rendere incantevole quella scena. L’architettura esterna del palagio è maestosa; l’interno offre, benché sopra area non ristretta, poca comodità di stanze; ma l’orizzonte è spazioso, l’aria salubre, il raggio solare libero e lieto. Se non che oggi volano non isturbati i pipistrelli per le deserte stanze e le rovinose logge abitate un giorno da gentili donne e da cavalieri.

Leggiamo nel Ridolfi “A petizione dei signori Capodilista, Dario Varotari, formò il modello del palagio loro situato sovra l’uno dei monti euganei, detto Montecchia, ove dipinse molte cose a fresco, nelle quali gli servì l’Aliense, ancor giovinetto„. Dicesi che il Varotari durante questo lavoro cadesse e ne riportasse fracassata una gamba. Così fosse stato più felice almeno nelle sue pitture!

Corrono fra gli abitatori della campagna, che si distende a piè di questo colle, alcune tradizioni sulle stranezze d’un Capodilista del secolo andato, cui non prestiamo gran fede. - Aveva, raccontano ancora a chi si porta per visitare le screpolate muraglie vestite di edera e di musco, la vaghezza di far ballare intorno al palazzo fanciulli e fanciulle, nudi come li aveva fatti il Signore ed egli gavazzava dall’alto del poggio e regalava i garzoni di alquante monete; ai poveri che gli chiedevano l’elemosina, se gli saltava il grillo, faceva ungere il capo di mele e seppelliti in una buca, colla testa fuori, li abbandonava al pungolo delle vespe e delle api; i servi li metteva entro ad alcune botti, che poi lasciava andar rotolone pel monte; finché, narrano, il diavolo se lo portò via in una brutta notte di inverno, e ti additano in conferma un dipinto sul muro, in una loggia esterna, in cui scorgono il diavolo e il Capodilista tirati da quattro cavalli bianchi; ed è (se non erro) un ratto di Proserpina, dipinto forse dal Varotari.

Guglielmo STEFANI

 

Da: Strenna dei Colli Euganei (1846, a cura degli editori del «Giornale Euganeo» J. Crescini, G. Stefani – ripresa in I Colli Euganei (Bologna 1978, Riedizione anastatica, Atesa Editrice).

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